Chi sono i lavoratori su cui oggi grava l’obbligo di sottoporsi a vaccino anti Covid? Quali sono le conseguenze di un eventuale loro rifiuto ad adempiere a tale obbligo?
Si discute quotidianamente in merito all’obbligo, per alcuni lavoratori, di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19 e, sul punto, sono state pubblicate anche le prime sentenze di merito (Tribunale di Modena 19/05/2021 e 23/07/2021; Tribunale di Belluno sentenza 19/09/2021; Tribunale Roma 28/07/2021).
Cercheremo in questo articolo di indicare lo stato dell’arte al di là di ogni giudizio non prettamente giuridico.
L’art. 4 del decreto legge 01.04.2021 n. 44 ha introdotto un “obbligo” vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, categorie la cui individuazione, tuttavia, non è così pacifica.
In particolare, i dubbi interpretativi non investono tanto la categoria degli esercenti le professioni sanitarie, i quali sarebbero da individuare, a detta di tutti, in base alle norme primarie che le regolamentano (alla luce della Legge 11 gennaio 2018 n. 3 ed a partire dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561), quanto la categoria degli operatori di interesse sanitario.
Le indicazioni fornite a questo proposito dal Ministero della salute attraverso il proprio sito web non è certamente una fonte di legge e, a ben vedere, nessuna norma emanata dal nostro legislatore contiene una “definizione” analoga a quella che compare nel sito del Ministero della salute.
In realtà non esiste un’unica fonte normativa abilitante, ma ve ne sono tante quante sono le Regioni italiane: infatti, la legge 1 febbraio 2006, n. 43 dispone la competenza delle Regioni nella individuazione e formazione dei profili di operatori. Tuttavia, viene da chiedersi se davvero, ai fini di individuare la platea dei soggetti obbligati a sottoporsi al vaccino anti Covid 19, il decreto legge n. 44/2021 abbia inteso far riferimento ai differenti profili di operatori di interesse sanitario regolati dalla legge n. 43/2006 che rimanda alle leggi regionali, dato che si sta parlando di problema sanitario nazionale correlato al piano di vaccinazione nazionale al fine di tutelare la salute pubblica. Di conseguenza, è da escludere che il legislatore abbia voluto condizionare e differenziare l’obbligo vaccinale in questione in base alle numerose e varie previsioni legislative regionali.
E’ evidente, dunque, che la categoria degli “operatori di interesse sanitario” vada individuata in altro modo.
Sul piano letterale, il decreto legge 44/2021, all’art. 4, fa riferimento non soltanto agli operatori sanitari ma più specificamente agli “operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”.
Ai fini del suddetto decreto legge potrebbe, quindi, affermarsi che sono operatori di interesse sanitario tutti i lavoratori che esercitano la propria attività nei luoghi indicati dalla predetta norma, a prescindere dal contenuto professionale della mansione (che potrebbe non essere strettamente sanitaria).
Anche dal punto di vista della ratio legis sembra questa l’interpretazione più corretta.
Se, infatti, la finalità è quella di “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” tale fine può essere conseguito assoggettando all’obbligo tutti coloro che operano nel medesimo ambiente di lavoro e che, pertanto, sono esposti al medesimo rischio.
In coerenza con l’art. 2087 c.c. e il d.lgs. n. 81/2008 (testo unico in materia di sicurezza sul lavoro) l’ambiente di lavoro e il rischio correlato rappresentano norme da tenere in considerazione per identificare i soggetti obbligati. E così, infatti, Tribunale di Modena 19/05/2021: “… E’ possibile ritenere infatti che il prestatore di lavoro sia astretto da ulteriori obblighi, tutti finalizzati a rendere la propria prestazione utile per il perseguimento dei fini propri dell’impresa datrice di lavoro … e alla effettiva realizzazione del sinallagma. A conforto dell’assunto, e per quanto oggi interessa, si ritiene pertinente il richiamo al disposto di cui all’art. 20 D. Lgs. 81/2008: «1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. 2. I lavoratori devono in particolare: a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale; …
Da una piana lettura della disposizione in esame si evince che il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. Si ritiene che la disposizione in esame rivesta natura precettiva, con conseguente sanzionabilità giuridica di comportamenti difformi dalla medesima. …
La mancata e non giustificabile collaborazione del prestatore di lavoro alla creazione di un ambiente di lavoro salubre e sicuro per sé e per gli altri (mediante non sottoposizione ad un trattamento sanitario utile a contingentare gli effetti negativi scaturenti dall’ emergenza pandemica in atto) costituisce pertanto un contegno che incide in misura significativa sul sinallagma, tanto da comportare o una modifica delle mansioni in concreto affidabili o addirittura la sospensione temporanea del rapporto.
Ancora, Tribunale di Modena 23/07/2021: “… L’art. 2087 cod. civ., quale diretta estrinsecazione dell’art. 32 Cost., impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che, secondo la migliore scienza ed esperienza, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica del prestatore di lavoro. Allo stato, la vaccinazione contro il Covid-19 costituisce la misura più idonea ad evitare, in modo statisticamente apprezzabile, il rischio di trasmissione della malattia e dell’infezione all’interno dell’azienda …”.
Una volta individuati i soggetti tenuti a sottoporsi al vaccino per poter svolgere determinate mansioni, cerchiamo di comprendere quali possano essere le conseguenze di un inadempimento da parte del lavoratore.
Il decreto legge citato prescrive espressamente la sospensione del lavoratore dal servizio senza diritto alla retribuzione quando, appunto, lo stesso:
1) non si sia vaccinato;
2) svolga prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2;
3) non sia possibile adibirlo a mansioni diverse da quelle indicate al precedente punto.
Le sentenze citate hanno tutte confermato la liceità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione adottata dai datori di lavoro nel caso di dipendenti (rientranti nella categoria indicata al punto a) che non si sono sottoposti al vaccino. Le motivazioni delle varie sentenze si fondano anche sul riconoscimento del virus Covid-19 come rischio ambientale, legalmente tipizzato.
Lo Studio Labor Ius è a disposizione per approfondimenti e assistenza sul tema.