E’ così che la pensa il Giudice del Lavoro di Ravenna, dott. Dario Bernardi, il quale ha dichiarato la nullità del licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione adottato dal datore di lavoro nel periodo del c.d. “blocco dei licenziamenti”.
Il Giudice del Lavoro ha innanzitutto ricordato come “Il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta integri, per giurisprudenza e dottrina consolidate, un motivo oggettivo (categoria frammentaria e che comprende tutto ciò che non è disciplinare) di licenziamento: Cass. 21 maggio 2019, n. 13649; Cass. 22 gennaio 2019, n. 6678; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29250; Cass. 4 ottobre 2016, n. 19774”.
Ciò premesso, secondo il Giudice ravennate, “Viene in rilievo il D.L. 18 del 17.3.2020 (convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27) che all’art. 46 prevedeva un blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo: “1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4,5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per cinque mesi e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604. Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604“.
Ebbene, “A parere di chi scrive non possono esservi dubbi sulla ricomprensione nell’ambito applicativo del blocco del licenziamento per G.M.O. di cui all’art. 46 anche del licenziamento per sopravvenuta inabilità.
Non solo perché tale motivo di licenziamento è indubbiamente oggettivo (non è disciplinare) nella dicotomia dell’art. 3 della L. n. 604/1966.
Ma anche perché, in concreto, per tale licenziamento valgono le stesse ragioni di tutela economica e sociale (art. 1: Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale, prevedendo misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale, della protezione civile e della sicurezza, nonché di sostegno al mondo del lavoro pubblico e privato ed a favore delle famiglie e delle imprese…”) che stanno alla base di tutte le altre ipotesi di licenziamento per G.M.O. che la normativa emergenziale ha inteso espressamente impedire.
Va, infatti, evidenziato come per il lavoratore divenuto inidoneo alla mansione, il licenziamento sia sistematicamente delineato come extrema ratio, evitabile con l’adozione di misure organizzative tali da consentire al lavoratore di continuare a lavorare presso lo stesso datore di lavoro, anche eventualmente passando a svolgere mansioni inferiori (come previsto dall’art. 42 del D.Lgs. n. 81/2008, ai sensi del quale “(1. Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”).
Ragionevolmente, in una situazione di contrazione economica (con blocco di una buona parte della domanda: la popolazione era chiusa in casa, c.d. lockdown) con blocchi più o meno totali alle attività di impresa e comunque rallentamenti della stessa in una pluralità di settori produttivi (nulla rileva che nello specifico caso l’impresa abbia continuato a funzionare a pieno regime), la scelta del congelamento dei licenziamenti dei dipendenti (il cui costo di mantenimento senza svolgimento della prestazione veniva correlativamente assunto dall’INPS) andava a rimandare alla fase successiva all’emergenza ogni valutazione aziendale circa l’esistenza (a quella data) di giustificati motivi oggettivi di licenziamento.
Tali ragioni valgono all’evidenza anche per il licenziamento per inidoneità permanente alla mansione specifica, posto che (nell’ottica del legislatore) solo all’esito del superamento della crisi potrà esservi una attuale e concreta (relativa alla specifica azienda coinvolta) scelta in punto a organizzazione o riorganizzazione aziendale e, dunque, anche in punto al ripescaggio del lavoratore in questione (si tratta proprio dell’adozione della misure organizzative come detto previste dall’art. 42 del D.Lgs. n. 81/2008).
Conseguentemente, il caso di specie rientra appieno nel blocco del licenziamento per G.M.O. di cui all’art. 46 del D.L. n. 18 del 2020”.
Insomma, per il Giudice del Lavoro di Ravenna si sarebbe in presenza di un blocco sicuramente totale.
Ci si chiede se tale orientamento sarebbe condiviso dai Giudici delle Corti superiori.